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Un proprietario di animali come percepisce la presenza di una malattia?

Un interessante studio ci mostra come i proprietari di animali percepiscano la presenza di una malattia nel proprio pet.

Un proprietario di animali come percepisce la presenza di una malattia?

E’ un fenomeno che si vede comunemente nella pratica ambulatoriale: il veterinario che indica al proprietario l’effettiva presenza di un problema nel suo pet che richiede una certa terapia e un proprietario che non riesce a vedere il problema, che anche se lo vede lo ritiene non importante o che si lamenta del fatto che nessuno possa aiutarlo, quando di fatto non ha neanche provato a fare una terapia. Esiste una teoria formulata da Prochaska e Diclemente, semplificata successivamente da Young che si chiama Teoria del cambiamento psicoterapico che parla proprio di come i proprietari vedano i problemi, come li percepiscono e come reagiscono ad essi.

Gli stadi della Teoria del cambiamento psicoterapico

La prima versione di questa teoria parlava di cinque stadi, successivamente Young nel 1992 la semplificò a quattro stadi. Eccoli:

  1. Pre-intenzione: il proprietario non è cosciente dell’esistenza del problema e si rifiuta totalmente di prendersi carico del problema o di attuare terapie per risolverlo. Secondo il proprietario, un cambiamento del genere (con cambiamento si intende prendere consapevolezza dell’esistenza di un problema e decidere di mettere in atto procedure per risolverlo) presenta più conseguenze negative rispetto al lasciare il problema così come è. Un esempio: si scopre che il cane è cardiopatico, ma o il proprietario non riesce a capire la gravità del problema o si rifiuta di fare terapia perché se no “Il cane mi fa pipì dovunque”, non riuscendo ad accettare che un cane vivo e che fa pipì ovunque è meglio di un cane morto di edema polmonare perché non gli sono state date le medicine
  2. Intenzione: in questo stadio il proprietario sa che esiste il problema, ma lo sottovaluta e lo sminuisce, sostiene di non aver bisogno di aiuto o anche pensa che nessuno possa aiutarlo. Nell’esempio di prima il proprietario ha capito che il cane ha un problema cardiaco, ma non ritiene che un cuore che non funziona possa essere un problema grave, non riesce a vedere i sintomi e quindi pensa che il cane non abbia bisogno di aiuto o pensa che nessuno possa comunque aiutarlo (in questo caso si inserisce di solito la mitologica frase “Sono contro l’accanimento terapeutico” inteso come “Qualsiasi tipo di terapia mi dirai di fare per me è accanimento terapeutico”, confondendo così l’accanimento terapeutico con il normale concetto di terapia)
  3. Azione: in questo stadio il proprietario vuole il cambiamento e cerca aiuto per farlo. E’ in questa fase che accetta la terapia come strumento volto a migliorare i sintomi del proprio pet, sempre se si è riusciti a spiegargli la differenza fra terapia e accanimento terapeutico. Continuando l’esempio di prima è quando il proprietario ha capito la gravità del problema e si è convinto che dare quella terapia aiuterà il proprio pet a non provare sofferenza inutile
  4. Mantenimento: è l’ultimo stadio, il proprietario deve continuare la terapia per mantenere i risultati ottenuti fino a quel momento e non sospenderla finché il veterinario non gli dà l’ok. E’ anche la fase delle ricadute: bisogna spiegare che anche con la terapia sono possibili le ricadute, ma che se lui impara a riconoscere i sintomi per tempo, si può migliorare l’efficacia della terapia. Continuiamo con l’esempio: la terapia cardiologica va fatta a vita, ma molti proprietari la fanno per qualche settimana, poi vedono che il cane sta meglio e la sospendono. Risultato? Cane in edema polmonare acuto dopo qualche giorno/settimana se va bene, cane morto per sospensione della terapia se va male. In questa fase bisogna assicurarsi che il proprietario capisca bene il concetto di terapia a vita, che se un cuore non lavora bene bisogna dargli sempre con regolarità i farmaci e non quando ci ricordiamo, di non sospendere la terapia perché quel cuore precipiterà di nuovo subito e che se un cardiopatico, anche sotto terapia, ricomincia a tossire, va rivisto subito dal veterinario, non dopo tre giorni che tossisce come un disperato e dopo un giorno che rantola tirando il fiato con i denti

Cosa fare dunque?

Per riuscire in tutto ciò, ci va fiducia fra il proprietario e il veterinario, da ambo le parti. Se quella fiducia non c’è (e non voglio entrare nel merito dei motivi), allora a farne le spese sarà il pet. Inoltre bisogna cercare di spiegare ai proprietari più riottosi che andare dal veterinario per un problema e poi decidere di non fare la terapia per i motivi più disparati non serve a nulla: di sicuro non al pet che sarà felice di sapere di avere un’insufficienza cardiaca, ma non sarà felice di sapere di avere un proprietario che sa del problema, ma ha deciso di non dargli le medicine; non al proprietario che ha segnalato un problema, decide di non fare o accettare la terapia, ma che poi si arrabbia perché il pet non guarisce… strano che non guarisca se non fa la terapia; non al veterinario che in pratica ha speso tempo e fiato e sa di avere fra le mani un cane destinato a morire in breve tempo perché non viene curato come prescritto.

Queste informazioni non sostituiscono in nessun caso una visita veterinaria. Ricordiamo che Petsblog non fornisce in nessun caso e per nessun motivo nomi e/o dosaggi di farmaci.

Foto | iStock

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