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Avvelenamento da rodenticidi nel cane e nel gatto: cause, sintomi e terapia

Inauguriamo oggi il capitolo relativo agli avvelenamenti più comuni nel cane e nel gatto, parlando in primis di quello più comune, quello da rodenticidi o veleno per topi.

Avvelenamento da rodenticidi nel cane e nel gatto: cause, sintomi e terapia

Di sicuro l’avvelenamento da rodenticidi è il tipo di avvelenamento più comune nei cani e nei gatti. Vuoi perché sono appetibili, vuoi perché li usiamo incautamente nei nostri giardini, ecco che spesso i nostri pet arrivano con un avvelenamento da rodenticida. Prima di andare a vedere cause e sintomi, una doverosa precisazione: alla domanda “Mettete del veleno per topi in casa o giardino?” la risposta è sempre “Assolutamente no” seguita pochi secondi dopo da “Sì, in realtà lo mettiamo, ma in un posto in cui assolutamente il cane/gatto non arriva”.

Ecco, visto e considerato che la prova dell’avvelenamento è evidente se ne deduce che il “posto assolutamente irraggiungibile” dal nostro pet in realtà è perfettamente alla sua portata. Considerate poi che magari i topi non lo mangiano, ma lo portano in giro tirandolo fuori dalle esche e che i nostri cani e gatti se ne cibano allegramente.

Cause

Fondamentalmente l’avvelenamento da rodenticidi riconosce due cause:

  • classici veleni per topi: si trovano sotto diverse forme come trappole, esche su supporto formato da cereali, polveri per uso casalingo o anche professionale, pellets di varie forme e dimensioni, bustine di carta filtro contenenti cereali pressati, zuccheri (ecco perché cani e gatti ne sono ghiotti) e aromi, bocconcini in pasta in bustine di carta filtro, zollette con paraffina
  • Coumadin: avete presente il nonno o la zia anziana che soffrono di trombosi e che sono costretti a prendere il Coumadin? Ebbene, sempre di Warfarin trattasi, il primo rodenticida messo in commercio. E capita spesso che al parente anziano caschi una pillola per terra, lui non la trova più, ma il cane di sicuro sì e la ingerirà avvelenandosi esattamente come se avesse ingerito il veleno per topi

In realtà di rodenticidi anticoagulanti ce ne sono di tantissimi tipi, hanno studiato molecole sempre nuove e sempre più retard per evitare che i topi, ingerendole, morissero subito: in questo caso gli altri topi si farebbero furbi e non le mangerebbero più. Quelli di seconda generazione sono ancora più tossici.

Il cane e il gatto possono intossicarsi anche ingerendo prede morte per veleno per topi, ma qui dipende anche dalla quantità ingerita dal roditore e dal tipo di rodenticida ingerito: quelli di seconda generazioni sono tossici e letali a dosaggi molto bassi.

Sintomi e diagnosi

Prima di vedere i sintomi dell’avvelenamento da rodenticidi anticoagulanti bisogna capire come funziona questo veleno. Non è che il cane lo mangia e subito compaiono i sintomi e muore, no, quello succede con la stricnina, il veleno per topi è più subdolo. Viene ingerito e rimane latente nell’organismo. A distanza di 10-20 giorni un qualsiasi trauma può scatenarlo: per trauma intendo proprio una botta, ma anche un’infiammazione delle mucose come può capitare in corso di gastrite, di cistite e via dicendo. Se per un qualsiasi motivo la mucosa si infiamma, ecco che il veleno si scatena provocando emorragia esterna o interna.

Fondamentalmente i rodenticidi impediscono all’enzima preposto di convertire la vitamina K dalla forma inattiva a quella attiva. Ecco che dunque la coagulazione non potrà avvenire correttamente, la forma attiva della vitamina K diminuisce sempre di più (il Warfarin ci mette 7-10 giorni, quelli di seconda generazione anche 3-4 settimane) e quando si avrà un trauma ci saranno i sintomi più o meno manifesti.

Ricapitolando: gli animali che hanno ingerito il veleno per topi rimangono asintomatici fino a quando non diminuiscono o si abbassano del tutto la riserva di fattori della coagulazione. Poi arriva l’innesco (una botta, una tracheite, una gastrite, una cistite, il cambio dei denti in un cucciolo…) ed ecco che compaiono i sintomi, all’inizio molto aspecifici:

  • abbattimento
  • debolezza
  • sonnolenza
  • atassia
  • mucose pallide
  • anoressia
  • poliuria
  • polidipsia
  • ipotermia che dopo 2-3 giorni si trasforma in febbre
  • tachicardia
  • polipnea
  • dispnea

A questi si associano i sintomi emorragici, la localizzazione varia a seconda dell’organo che ha dato il via all’avvelenamento:

  • petecchie
  • ecchimosi
  • melena
  • ifema (emorragia nella camera anteriore dell’occhio)
  • vomito emorragico
  • epistassi
  • emotorace (versamento toracico emorragico)
  • emoperitoneo (versamento addominale emorragico)
  • otorragia
  • emorragie vaginali
  • emometra
  • ematuria
  • gengive sanguinanti

A questo si devono aggiungere sintomi come:

  • vomito
  • tosse
  • diarrea
  • dolore
  • febbre
  • zoppia

In alcuni casi di avvelenamento acuto, si ha la morte improvvisa per emorragia interna a livello del pericardio, del torace, dell’addome o anche intracranica. Da sospettare sempre poi la presenza di un veleno per topi quando dopo una banale iniezione si forma un ematoma di notevoli dimensioni o quando dopo un normale prelievo venoso non si riesce a bloccare la fuoriuscita di sangue.

La diagnosi di avvelenamento da rodenticidi avviene sommando anamnesi, sintomi ed esami del sangue. In emergenza e se non si ha a disposizione un laboratorio, si valuta la coagulabilità del sangue in provetta, mentre la conferma arriva dagli esami di laboratorio con un aumento del tempo di protrombina (PT), del tempo di trombina (TT), del tempo di tromboplastina parziale (PTT), diminuzione dei fattori della coagulazione e positività ai marcatori di deficit della vitamina K. Occhio però ad una cosa: i veleni di seconda generazione coagulano in vitro e non in vivo, quindi ci potrebbero essere dei falsi negativi. Inoltre si valuta anche la risposta alla terapia.

Terapia

Fortunatamente l’avvelenamento da rodenticidi è uno dei pochi che ha un suo antidoto, ovvero si somministra vitamina K1 (fitomenadione) che è subito attiva e aiuta a sintetizzare nuovi fattori della coagulazione (la vitamina K3 o menadione invece non funziona). Visto che di solito è difficile sapere se si tratta di un veleno di prima o seconda generazione, ecco che di solito si prosegue la terapia per 3-4 settimane. In caso di urgenza la prima somministrazione viene effettuata per via sottocutanea, raramente si ricorre alla via endovenosa perché è ad alto rischio di anafilassi e non si usa neanche quella intramuscolare a causa della formazione di ematomi. Successivamente si prosegue per via orale, visto che è uno dei pochi farmaci che funziona meglio per via orale rispetto alla via iniettabile. La dose va suddivisa in due somministrazioni giornaliere, possibilmente con il pasto in quanto si migliora l’assorbimento.

Ovviamente devono essere trattati anche gli altri sintomi, l’eventuale tosse, vomito e diarrea. In casi gravi si può somministrare ossigeno, fare trasfusioni ed è importantissimo tenere il paziente il più fermo possibile, per limitare al minimo le emorragie interne. Se il cane ha mangiato il veleno per topi da non più di mezz’ora (qualcuno dice qualche ora), ecco che si può indurre il vomito o provare con una lavanda gastrica.

La dottoressa veterinaria Manuela risponderà volentieri ai vostri commenti o alle domande che vorrete farle direttamente per email o sulla pagina Facebook di Petsblog. Queste informazioni non sostituiscono in nessun caso una visita veterinaria.

Foto | Youngandwithit

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