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Mi è morto il coniglio

Quante volte abbiamo riso sull’espressione che t’è morto il gatto? Io l’ho fatto finché non ho avuto un gatto tutto per me, che poi è morto investito da un’auto. Ero veramente triste e contemporaneamente stupita di poter provare tanto dolore per la morte di un animale. Poi sono passata ad un altro luogo comune: che […]

Mi è morto il coniglio

Quante volte abbiamo riso sull’espressione che t’è morto il gatto? Io l’ho fatto finché non ho avuto un gatto tutto per me, che poi è morto investito da un’auto. Ero veramente triste e contemporaneamente stupita di poter provare tanto dolore per la morte di un animale. Poi sono passata ad un altro luogo comune: che un coniglio non è come un gatto, che se ne sta là senza interagire.

Man mano che leggevo articoli di Petsblog e per Petsblog, mi sono resa conto che stavo commettendo un altro errore. La conferma, se ce ne fosse bisogno, arriva stamattina, dalla pagina delle lettere al direttore di Vanity Fair. Una donna, non so di che età, racconta che non può dire a nessuno che la sua tristezza e le sue lacrime sono dovute alla morte di Poldo, il coniglietto che aveva vissuto con lei tanti anni.

E non ho il coraggio di dirlo a nessuno o quasi, e vado in giro con gli occhiali da sole. Perché è così difficile spiegare a chi non ama gli animali quello che si prova ad averli e perderli? Perché dovrei sentirmi sciocca e infantile per queste lacrime?

Già, perché? E io aggiungerei: perché anche chi ama gli animali, non parlo di chi ha scritto la lettera, ovviamente, trova difficile ammettere anche con se stesso di provare questi sentimenti? Forse perché se cominciamo a pensare che gli animali hanno diritto alle nostre lacrime hanno anche diritto a non essere usati come cibo? Sinceramente non ho una risposta, voi lettori sicuramente saprete trovare parole migliori delle mie.

Foto | Flickr

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