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Adriana Zarri, fine teologa, grande scrittrice e… gattara doc!

A 91 anni è morta Adriana Zarri, scrittrice, eremita, teologa di grosso calibro (e, come si dice, “scomoda”, anche se io preferisco l’aggettivo “sincera”), poetessa delicata, giornalista acuta. E anche gattara. Mi piace ricordare così una grande donna dei nostri giorni. Nella rubrica Parabole che aveva su Il Manifesto ha scritto sul finire dello scorso […]

Adriana Zarri, fine teologa, grande scrittrice e… gattara doc!

A 91 anni è morta Adriana Zarri, scrittrice, eremita, teologa di grosso calibro (e, come si dice, “scomoda”, anche se io preferisco l’aggettivo “sincera”), poetessa delicata, giornalista acuta. E anche gattara. Mi piace ricordare così una grande donna dei nostri giorni. Nella rubrica Parabole che aveva su Il Manifesto ha scritto sul finire dello scorso agosto che “l’importante è che ci sia sempre qualche animale, perché più bestie ci sono più il mondo è bello”.

Amica degli animali in generale, aveva una predilezione per i gatti, che non mancavano mai nei suoi libri e, spesso, anche nei numerosi articoli che scriveva – con la macchina da scrivere e, ultimamente, sotto dettatura a causa di alcune difficoltà nell’usare la macchina – per varie riviste (Rocca, Il Regno, Concilium, Servitium…). Sempre su Il Manifesto scrisse:

Fra cani e gatti c’è una dialettica, diciamo pure una decisa guerra, combattuta sul piano letterario del simbolo e della narrazione, e sul piano esistenziale con obiettive zuffe, a suon di abbaiamenti, di miagolii e di soffi felini. Anche a livello umano c’è una dialettica tra… filocani e filogatti, cioè tra gli amatori dell’uno o dell’altro animale. Dichiaro subito di essere una filogatta.”

E spiega cosa ama nei gatti:

Dei gatti amo tutto: la bellezza, la morbidezza, le fusa che gorgogliano nella loro tiepida gola; ed amo anche gli amatori dell’amato felino che sono molti: tra uomini donne, laici ed ecclesiastici, papa compreso. Anche il papa. Non so i precedenti, ma il pontefice attuale è, lui pure, un amante dei gatti, e io gli perdono certe direttive che mi lasciano perplessa per via di questo amore comune per i mici. Naturalmente questo amore è poco per sbilanciare la perplessità che è molta, ma sempre qualcosa è e insieme al suo amore per la musica, mi rende simpatico anche lui che – per tanti altri versi – simpatico proprio non sarebbe. Evviva quindi il gatto che svolge persino una funzione ecclesiale.

Dicevamo dei gatti presenti nei suoi libri. In Vita e morte senza miracoli di Celestino VI narra di un papa futuro – Celestino VI – che rinnoverà la chiesa dalle fondamenta. Anche Celestino VI ha un gatto, ovviamente, e da papa rivoluzionario come lo chiamerà?

Si sovvenne di uno scrittore (non ricordava quale) che, ai suoi gatti, dava nome di santi; e aveva sant’Eusebio, sant’Agata, santa Elisabetta d’Ungheria, e giù giù per l’intero calendario. Bene, decise, lo chiamerò Lutero: un santo protestante, senza canonizzazione perché, tra gli evangelici, saggiamente non usa.

Infine, segnalo un altro passaggio gattaro. In Erba della mia erba (libro di sconvolgente bellezza in cui racconta della sua vita eremitica), Adriana Zarri parla anche dei problemi pratici che incontrava nella sua cascina-eremo. Uno di questi era il freddo: come fare per avere un po’ di calduccio quando andava a dormire?

Un sera la mia micia, spinta dal freddo […] tentò d’insinuarsi garbatamente sotto le coperte; ma io […] la dissuasi […]. Dopo qualche sera, mentre stentavo a riscaldarmi, mi ricordai dell’offerta e la chiamai. Saltò di corsa, quasi non credendo ai suoi orecchi e s’infilò beata, con sinfonia di fusa. Credo che sfusacchiasse per mezz’ora almeno, a un volume mai udito, finché si addormentò, ed io con lei, arrotolate insieme, l’una sull’altra. Da quella sera fu un diritto acquisito, per entrambe […] Quando il letto si è intiepidito, tira fuori la testina e la posa sul guanciale […] e così lei rimane: il corpo sotto e la testa sul cuscino. […] Dorme beata e immobile, tutta la notte. Al mattino, quando mi sveglio, la trovo ancora lì, ancora gli occhietti chiusi. E poiché lei non deve scendere in cappella, a cantar mattutino, ce la lascio finché non risalgo e non rifaccio il letto. […] Se qualcuno mi chiede ancora come mi scaldo, rispondo: “Un po’ a gas, un po’ a legna e un po’… a gatto”.

Il suo amore per la “natura” è testimoniato anche dall’epigrafe che ci ha lasciato, in cui leggiamo, tra l’altro:

Sulla tomba,
non mi mettete marmo freddo
con sopra le solite bugie
che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra
che scriva, a primavera,
un’epigrafe d’erba.

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