Il poeta inglese John Keats (1795–1821), uno dei principali esponenti del romanticismo, dedica un sonetto a un gatto anziano, invitandolo a raccontare le storie vissute nel corso della sua vita: racconti di caccia, lotte con altri animali e via dicendo.
La poesia di Keats testimonia anche un aspetto brutale, a essere sinceri: il poeta, infatti, magnificando la morbidezza della pelliccia felina a dispetto dell’età, sottolinea come nelle case le “serve” picchiassero i mici che gironzolavano per casa, forse nelle cucina. Del resto, la piccolezza dell’essere umano non è certo una novità dei nostri giorni. Nonostante tutte le difficoltà della vita, il gatto rimane sempre superiore…
Gatto, che hai passato lo splendore dell’età matura,
quanti topi, quanti ratti uccidesti ai tuoi tempi?
E quanti bocconcini di cincia carpisti
col tuo languido sguardo di verdi spicchi di luce,
le dritte orecchie di velluto e questi nascosti artigli,
che ti prego non conficcar nella mia carne?
E fa’ udir più forte il tuo miagolar gentile, narrami
le tue lotte con pesci e topolini, sorci e teneri pulcini.
E no, non abbassar lo sguardo, non leccarti le zampe graziose:
malgrado il tuo respiro sibilante, la tua coda che ha perduto la punta
e le percosse e i pugni da tante serve ricevuti,
ancor morbida è la tua pelliccia, come quando giovane
entrasti in lizza su un muro di cocci di bottiglia.
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