Gattari da legare: Le taverne, i vicoli e i gatti neri di Mahfuz
Che su Petsblog i gatti neri abbiano sempre goduto di un’ottima fama è risaputo. C’è un libro di Mahfuz che, in un certo senso, riunisce due delle mie passioni: i felini neri e l’Egitto. Nagib Mahfuz è un dono del Nilo, esattamente come l’Egitto: premio Nobel per la letteratura, ha sempre avuto un legame viscerale […]
Che su Petsblog i gatti neri abbiano sempre goduto di un’ottima fama è risaputo. C’è un libro di Mahfuz che, in un certo senso, riunisce due delle mie passioni: i felini neri e l’Egitto. Nagib Mahfuz è un dono del Nilo, esattamente come l’Egitto: premio Nobel per la letteratura, ha sempre avuto un legame viscerale con la sua città, il Cairo, città che, come i suoi racconti, non può lasciare indifferenti.
Ne “La Taverna del gatto nero”, il nostro felino diventa l’unica presenza tangibile e certa tra lo stordimento del vino, l’angoscia degli avventori e la loro coscienza. Una paura surreale assale i presenti che, al culmine dell’oblio dato dal liquido “infernale”, riconoscono nel gatto il suo passato divino, tramutato in un presente domestico.
Il gatto si struscia tra i presenti così come ci accompagna tra i racconti del libro, un libro in cui la luce dorata del Cairo lascia il posto a vicoli bui popolati da un’umanità impaurita, ad antichi timori e a vecchie colpe. Per Poe il gatto nero diventava la voce di una coscienza nera, l’elemento che faceva venire a galla la follia e che tradiva l’assassino; con Mahfuz, il gatto nero diventa “il filo che ci condurrà alla verità…”, gli occhi che riflettono il percorso, retto o deviato, di esseri umani disperati. Due scrittori, due culture, un solo gatto.
Foto | Flickr